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La storia della traversata in auto del deserto del Sahara d’estate

La storia di un viaggio nel deserto del Sahara

Che cosa ci abbia spinto a fare un viaggio in fuoristrada, attraversando lo sconfinato deserto del Sahara, andata e ritorno nel mese più caldo dell’anno (e nell’anno più caldo del secolo, come abbiamo scoperto più tardi) resta tutt’ora un mistero.

Era il lontano 1988, precisamente in agosto, quando con un’altra coppia e due Jeep Wrangler nuove fiammanti, le prime ad essere state immatricolate in Italia, ci siamo messi in cammino, pieni di bagagli, taniche, attrezzi, ricambi, consigli e tantissima curiosità.
Due erano le grandi differenze rispetto ad oggi per intraprendere un viaggio come questo: da un lato l’Africa Sahariana era senz’altro più sicura e tranquilla, da un punto di vista sociale, per chi ci si avventurava, ma per contro non c’erano cellulari, né GPS né altro modo di orientarsi, se non la bussola, le mappe con le indicazioni dei pozzi e delle oasi ed i rarissimi cartelli stradali, spesso scritti in arabo.

L’itinerario della traversata

Da Venezia al deserto del Sahara

Un traghetto da Genova a Tunisi e poi a sud attraverso la tranquilla turistica Tunisia: Gabes, l’oasi di Tozeur e la sua antica Medina, la distesa di sale dello Chott El Djerid e l’oasi di Nefta.
Poi una lunghissima e inutile attesa alla frontiera, dato che oltretutto c’eravamo solo noi.
Un’oretta in Tunisia e quattro ore in Algeria tra sbarre, timbri, foglietti, dichiarazioni, altri timbri, sguardi sospettosi, tante mosche e…. alle otto di sera, tolti i rotoli di chiodi dalla strada, finalmente passiamo.

Corriamo nel deserto nella notte sotto la luna sulla strada coperta di sabbia, attraverso silenziosi villaggi in cui camminano figure vestite di lunghi veli bianchi che appaiono e scompaiono alla luce dei fari.

Ancora El Oued e poi Touggourt, viaggiamo per lunghissime ore in un paesaggio giallo-arancione tra infinite distese di dune ondulate a perdita d’occhio.
Qua e là gruppi di palme stanno piantati fino alle foglie che spuntano da terra come cespugli. A qualche metro di profondità, c’è dell’acqua freschissima e fossile e solo in questo modo riescono a sopravvivere.
Fa già molto caldo ed in macchina superiamo abbondantemente i 60 gradi.

E così avanti per ore, per giorni: Ouargla, Gardaia, Timimoun, Adrar, Reggane, In Salah. Siamo nella regione del Sahara algerino che è uno dei posti in assoluto più caldi della terra; non a caso si è infatti guadagnato il soprannome di “il triangolo di fuoco” .

E’ vero, fa un caldo tremendo, veramente terribile, basti pensare che l’umidità è intorno al 5 per cento mentre la temperatura è normalmente sui 50 gradi all’ombra… sempre che si trovi ovviamente dell’ombra…. Al sole gli occhi bruciano e si seccano subito e, per tenere la macchina fotografica in mano, bisogna addirittura usare i guanti.

Troviamo un villaggio completamente deserto: gli abitanti durante l’estate si trasferiscono a vivere in una grande grotta poco lontana, perché le case diventano veri forni inabitabili.
Non contenti verso le due del pomeriggio ci mettiamo a scavare con le nostre pale nella sabbia arroventata per cercare le bellissime rose del deserto.
Comunque, per farla breve, alla fine del nostro itinerario siamo arrivati fino a Tamanrasset, il centro più importante della fierissima popolazione Tuareg, con un’ultima lunghissima tappa di 750 km di pista attraversando l’Ahaggar, una vasta regione montuosa grande come la Francia, prima che la nostra macchina si arrendesse per il caldo e la frizione smettesse di funzionare.
Da qui con un fuoristrada a noleggio siamo poi scesi fino ad Agades in Niger, dove finisce il deserto ed incomincia il Sahel, concludendo così l’intera traversata del Sahara.

Oltrepassata Reggane in Algeria, abbiamo anche avuto modo di gustare il simpatico passaggio con la frontiera del Niger: lungo una pista in mezzo alla sabbia: una tenda, delle cassette di birra con seduti sopra alcuni soldati visibilmente ubriachi, molte bottiglie vuote sparpagliate qua e là, i mitra mollemente appoggiati di fianco, i nostri passaporti letti al contrario e restituiti con malagrazia. Una bella inevitabile mancia per risolvere ogni problema e via ….

Se ne è valsa la pena

In totale più di 4700 km di strada (strada si fa per dire), tantissime ore al volante, tanto tanto caldo, tanta tanta sete ed anche parecchia fame (c’è pochino da mangiare anche per loro); polvere, scossoni, buche, insabbiamenti, spinte … ma svegliarsi in una tendina nel bel mezzo del niente mentre il sole sorge tra le dune ed incendia il deserto, o camminare sulla cresta di una montagna di sabbia colore dell’oro e guardarsi tutto intorno, o incontrare una carovana di nomadi a cammello che passa in silenzio lenta attraversando questi infinite distese senza vita… beh ..allora si, non c’è dubbio, ne è valsa proprio la pena.

Consigli base per attraversare il deserto

Che cosa ho imparato? Molte cose di sicuro.
Prima di tutto, se si visita un paese caldo (entro certi limiti) va visto quando fa caldo. Andare nel Sahara a febbraio ti fa perdere molto dell’esperienza.
Lo stesso vale per i paesi freddi (sempre entro certi limiti): L’Alaska, il Canada, la Siberia d’inverno sono tutta un’altra cosa rispetto all’estate. E questo in generale.

Personalmente ho imparato ad apprezzare l’acqua e non l’ho più dimenticato. Abbiamo bevuto una media tra gli otto e i dieci litri a persona ogni giorno, ad una temperatura (dell’acqua) spesso di 60 gradi dal momento che la tenevamo dentro la macchina. Senza bere non si vive più di una giornata (lo dicono i locali) e la sete non ti lascia mai, neanche appena riappoggiata la bottiglia. Bisogna portarne tanta e farsi bene i conti, lì non si scherza. L’acqua è preziosa.

Mi sono accorto che, qualche volta, dopo 10-15 ore al volante, mi è capitato di vedere cumuli di neve a bordo strada e spesso boschi di abeti passare fuori dal finestrino.⛄️ Adesso so che non è grave se capita, una notte di riposo e le allucinazioni se ne vanno; comunque sia, quando accade, è ora di smettere di guidare.

Se si incappa in una tempesta di sabbia, bisogna assolutamente fermarsi, spegnere il motore e restare chiusi in macchina finché passa. La visibilità per guidare è nulla, la sabbia entra nel motore in moto e lo danneggia e se si scende e ci si perde, non sempre si riesce a ritrovare la strada per tornare indietro.

A causa del caldo non si può usare l’aria condizionata (purtroppo) perché il motore si surriscalda subito; sempre per il caldo e per la polvere si viaggia coi finestrini chiusi (purtroppo) e quindi non è proprio un gran confort quando la lancetta del termometro alle nove di mattina è già a fine corsa.
Chi dice che nel deserto la sera fa fresco o addirittura freddo, anche in estate, o non c’è mai stato, o racconta fiabe. Per esempio la sabbia alla sera sotto il pavimento della tenda scotta ancora e senza il materassino non si può stare.

Un’ottima soluzione durante la marcia è usare uno spruzzatore per le piante e bagnarsi spesso: l’acqua evaporando abbassa di molto la temperatura del corpo e soprattutto della testa.

Bisogna trattare bene la propria auto ed adattarsi sempre al tipo di terreno.  Abbiamo dovuto tenere medie anche di meno di 20 km l’ora ma, se serve, si va piano perché basta una buca profonda od un sasso sbagliato per trovarsi costretti a fermarsi ed aspettare … molto a lungo.

Va usata un’auto semplice, ovviamente un 4X4, riparabile e soprattutto conosciuta da quelli del posto dove si va.
La nostra era bellissima, ma andava bene per le spiagge della California.
A quelle temperature poi, molto meglio il diesel (la nostra era a benzina).

Le taniche piene di carburante, pur di ferro ed omologate, si gonfiavano per il caldo e per il gas interno, come se fossero state di plastica e dovevamo quindi coprirle e bagnarle in continuazione. A dire il vero ci sentivamo un po’ a disagio nel correre con delle bombe dietro la schiena. Anche il serbatoio si dilatava e aprendolo (alle dieci di sera ed a 40 gradi) faceva ancora un getto di due metri.

Se si monta un portapacchi va scelto molto solido: lungo i bordi delle piste ce ne sono parecchi abbandonati e fracassati.

Ho visto, ancora una volta, che si possono portare tutti i ricambi che si vuole (e pesano) ma poi si romperà inevitabilmente sempre quello che non c’è.
Alla nostra macchina ad esempio si sono cucinati per il caldo i gommini della frizione (come mi hanno detto a Tamanrasset); ovviamente non c’erano ricambi e non sapevano neanche smontare, in ogni caso, un bel niente. Ma per fortuna conoscevano un ottimo trucco: bastava mettere del normale olio motore nel contenitore del fluido… e miracolo….. funzionava! Si cambia male ma si torna a casa!!

Come sempre, ci si deve fidare dei locali per le indicazioni stradali ed in generale… ma con moderazione per cui è meglio pensare sempre anche con la propria testa e non fidarsi ciecamente. Noi abbiamo trovato due furgoni pieni di algerini completamente fuori rotta e persi tra la sabbia.

– Racconto di Lorenzo e Gianna, papà e mamma-

P.S.: le foto sono state scattate proprio durante il viaggio !!!

Immagini della traversata del deserto del Sahara

Ed ecco qualche “foto ricordo” di questo sereno e rilassante viaggetto.

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