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Diario di viaggio in Siberia: Gulag, gelo e basi atomiche

Qualche giorno fa, curiosando distrattamente tra le decine di “diari di viaggio” dei miei genitori uno ha attirato la mia attenzione, forse perché tristemente molto attuale: il diario di viaggio scritto da mia madre mentre si trovava con i famosi camion di Overland (ve li ricordate? quelli tutti arancioni) ad attraversare un pezzo di Siberia. 🚌

L’estratto del diario che vi propongo oggi è ambientato nel 1996, nei mesi di gennaio e febbraio (immaginate le temperature in Siberia) quando con i camion mia madre percorreva il tratto tra Nova Sibirsk ed Anchorage via terra, dalla Siberia all’Alaska in poche parole, attraversando lo Stretto di Bering e passando per le province/Stati del Nord della Yacutzia e Chiukta. Sul loro percorso, capitava di incontrare alcuni terribili resti dei gulag.

Ecco quindi un estratto del Diario: un racconto di Gulag, Gelo e Basi atomiche….Si tratta ovviamente di un racconto basato sulle impressioni e sensazioni di un viaggiatore qualunque, senza alcuna velleità storica, dottrinale o politica.

P.S.: In questo articolo non troverete foto perché, ora come allora, era assolutamente vietato immortalare “fatti scomodi”, pena l’arresto.

Diario di un viaggio in Siberia

Nell’estremità nord-est della Siberia, in una zona artica oltre il circolo polare, è situato un territorio che veramente si può definire uno dei luoghi più remoti ed inospitali del nostro pianeta: la Cukcia, chiamata così dalla popolazione nomade di origine esquimese che vi si è stanziata, i Cukci.
Si tratta di una terra montagnosa sopra i 1000 metri di altitudine delimitata, a sud dall’altopiano della Jakutzia con le sue montagne chiamate Cerski e con vette di circa 3000 metri, ed a nord dal mar Glaciale Artico.

Questo territorio, senza precisi confini, ma esteso circa come la Francia, in realtà è pressoché disabitato. Vi sono solo due minuscole città tra cui Pevek, la capitale nella pratica costituita da uno squallido agglomerato di baracche. Qualche altro piccolo villaggio è abitato da allevatori di renne e cacciatori. La poca popolazione vive realmente col minimo indispensabile, su di una terra quasi sempre gelata da temperature invernali che si aggirano su di una media di meno quaranta gradi.

Anche la taiga siberiana qui cresce rada e stentata, e man mano che si prosegue verso nord soccombe definitivamente ai violenti e gelidi venti polari.

Il problema principale di questa regione e della popolazione che vi abita, consiste nel distacco quasi completo dal resto del mondo, sia a causa della lontananza sia per la quasi assoluta mancanza di mezzi di comunicazione.
Potrà sembrare un assurdo, ma nelle regioni artiche è molto più semplice viaggiare d’inverno sfruttando le grandi e lisce vie costituite dai fiumi ghiacciati (non a caso gli unici stanziamenti umani della Siberia nord-orientale si sono costituiti lungo la costa del mar Artico e lungo la riva dei tre principali fiumi: Lena, Jena, Kolyma).  Durante l’estate infatti, quando la terra gelata si scioglie nei dieci centimetri di superficie, si crea ovunque un immenso pantano, tra l’altro pullulante di fameliche zanzare, che rende impossibile la sua percorribilità. Per questo l’unica strada, per così dire, esiste solo nei mesi invernali e per ciò si chiama “strada d’inverno” anche se in realtà ogni anno il suo tracciato viene modificato dai primi percorritori.

Pevek, collegata da un piccolo e mal funzionante aeroporto con voli unicamente diretti a Yacutz, essendo però sul mare e riparata nell’omonimo golfo, esclusivamente nei due mesi estivi può anche giovarsi di qualche raro collegamento navale di carattere commerciale od più ancora militare.

La Siberia: terra di segreti

Lo scarso interesse economico di questo territorio, provocava il suo isolamento anche in termini di telecomunicazioni, per cui un’altra caratteristica saliente consiste nel fatto che la popolazione vive quasi all’oscuro dei fatti del mondo.
Questo suo isolamento provocava viceversa un particolare interesse militare, in realtà anche determinato dalla sua localizzazione geografica di enorme importanza strategica.
La Cukcia infatti si trova esattamente davanti all’Alaska, separata da questa solo dallo stretto di Bering che, nella sua parte più ridotta, è largo appena ottanta chilometri.
È ovvio dunque che, costituendo il primo baluardo dinanzi all’America, l’Unione, Sovietica ai tempi della guerra fredda iniziava a concentrare proprio nella Cukcia le sue più potenti ed agguerrite basi atomiche che, scavate nelle pendici dei monti, riuscivano per molti anni a rimanere invisibili anche alle più sofisticate ricerche satellitari.
I segreti militari, date le sovradescritte caratteristiche della zona, giacevano quindi nei ghiacci ben al sicuro ed al riparo da sguardi indiscreti.
A questo aggiungasi che il sottosuolo siberiano è ricchissimo di uranio, per cui ben facilmente gli ordigni nucleari potevano essere costruiti direttamente sul luogo.
D’altronde anche l’Alaska stessa, considerata tra l’altro la sua enorme ed importantissima ricchezza petrolifera, è sempre stata militarmente super protetta.

Si può dire dunque che lo stretto di Bering nei suoi brevi ottanta chilometri, separi veramente due mondi: l’occidente dall’oriente, e che tale separazione viene ancor più simbolicamente rappresentata dalla stessa linea di demarcazione del cambio di data che lo attraversa.

I gulag: le prigioni perfette

Ritornando alle basi atomiche sovietiche, uno dei problemi che si poneva, era il reperimento della mano d’opera necessaria soprattutto per lo scavo e lavorazione dell’uranio altamente radioattivo, pericoloso e dannosissimo.
Il governo centrale di Mosca escogitò così un brillante stratagemma, per mezzo del quale prendeva, come si suol dire, due piccioni con una fava.
Costruì nella zona dei campi di deportazione per prigionieri, soprattutto politici, denominati gulag.
Un campo tipo, consisteva in baracche di legno e lamiere, o qualche volta mattoni, circondate da un semplice filo spinato. All’interno delle baracche l’unico arredamento era costituito da brande in legno ed una stufa a carbone.

Non era necessario alcun altro sistema di sicurezza, in quanto la fuga era assolutamente preclusa dalle condizioni metereologiche od ambientali circostanti. Per di più la popolazione, che già di per sè viveva in situazioni estreme e con scarsissimi mezzi e risorse, aveva diritto a quel che si poteva considerare un’ambita taglia per ogni prigioniero fuggito e ammazzato. Ancor oggi infatti, risulta pericolosissimo avventurarsi allo scoperto nella tundra circostante, in quanto non tutti i cacciatori solitari e di passaggio sono al corrente dei rivolgimenti politici avvenuti, e non sarebbe improbabile rimediare una scopiettata nella schiena da parte di qualche zelante Cukcio.
Comunque, la vita media nel gulag era di circa due anni; i prigionieri si ammalavano infatti per le radiazioni assorbite nella lavorazione dell’uranio e non resistevano alle privazioni e soprattutto al freddo.

L’ultimo gulag veniva chiuso e smantellato tra il 1987 ed il 1991 ed ora nell’immenso deserto bianco di gelo, in cui all’orizzonte il cielo non si distingue dalla terra, come uniche macchie scure si ergono le baracche semi-sfondate dalla neve, i pali ed i rotoli di filo spinato.

Dalla riesumazione e dallo studio dei cadaveri dei prigionieri, nella ricerca di scoprirne identità e provenienza, emergeva, per la conformazione dell’apparato scheletrico, che si trattava in maniera preponderante di individui dediti ad attività intellettuali e non fisiche.
Ed inoltre, dalle testimonianze della popolazione, con cui alcuni di essi più fortunati o meno disperati, riuscivano ad intavolare dei contatti e rapporti, risulta che tra di essi c’è chi ha cercato di risollevare il livello di vita, di cultura e di informazione degli indigeni.

La Siberia ai giorni nostri

Le basi atomiche invece ancora esistono, seppur di molto sguarnite di uomini e mezzi.
Il potere militare decentrato in Siberia costituisce infatti ancora ai giorni nostri l’ultimo baluardo dell’antico regime sovietico, detenuto dai nostalgici del comunismo, in contrapposizione al potere governativo.
Le pareti dei monti della Cukcia, cristallizzate nella loro candida morsa di gelo, si presentano dunque ancor oggi punteggiate di grandi oblò che racchiudono caverne scavate nelle montagne, puntate come enormi occhi neri verso il cielo, pronte a sparare il loro terribile carico di morte e distruzione, mentre tutt’intorno lentamente girano come enormi farfalle bianche giganteschi schermi radar.
C’è solo da sperare che questo anacronismo fanta-politico veda presto la sua fine e che i relativi mezzi economici vengano invece investiti nel migliorare le condizioni di vita e le strutture della popolazione dì quelle lontane terre, pur nel rispetto delle loro caratteristiche ed individualità.

Diario di un viaggio in Siberia – 1996

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